ʺNella natura tutto canta e vibra; ogni creatura emette vibrazioni che si propagano in onde musicali. Vi è musica nei ruscelli che scorrono, nelle sorgenti che zampillano, nella pioggia che cade, nel fruscio delle foglie, nel moto ininterrotto di mari e di oceani. La musica della natura risveglia costantemente il senso musicale dell’uomo e lo aiuta ad esprimere sentimenti ed emozioni: i dolori, le gioie, l’amore e tutte le esperienze profonde. La musica è una respirazione della coscienza e ogni suono vibra nel corpo, nella mente e nelle emozioni di ogni essere umanoʺ. Omraam Mikhaël Aїvanhov.
In un freddo e uggioso pomeriggio autunnale, ho incontrato Francesco per la prima volta: aveva dieci anni e, nonostante un corpo minuto e apparentemente timido, mostrava lucenti occhi cerulei, colmi di emozioni e pienezza. Sin dal primo momento, ho compreso quanto le parole fossero precarie e fragili nella relazione con lui: ogni tentativo di instaurare un dialogo verbale, aveva un risultato fallimentare. Non era questo il canale per contattare le emozioni di Francesco, non erano le parole lo strumento per aiutarlo a sentirsi visto, compreso e amato.
Ogni qualvolta provavo a parlare e a fare domande, Francesco rispondeva ripetendo continuamente alcune frasi o parole che ricordavano momenti della sua vita passata: ʺnuvole, pioggiaʺ , ʺfesta, festeggiataʺ , ʺgiochi, pompieri, macchineʺ.
Alcuni dei dottori presenti ai nostri incontri avevano parlato di lui come ʺun bambino di spettro autisticoʺ, ma questa definizione non poteva certo aiutare la mia relazione con Francesco. Non mi guardava quasi mai, se non per brevissimi attimi; si muoveva freneticamente per la stanza, aprendo ogni cassetto e armadio, spargendo sul pavimento ogni oggetto che riusciva a prendere, distruggendo le cose che non gli piacevano.
Avevo bisogno di sintonizzarmi con lui, di farmi vedere, senza invadere le sue emozioni e il suo mondo interiore.
Un giorno, mi sono posto in un piccolo angolo della stanza, circondato da strumenti musicali: uno xilofono, due tamburelli, un flauto e due maracas. Sono rimasto in silenzio per circa mezz’ora, accovacciato sopra un grande tappeto verde. Francesco si muoveva come sempre: non mi guardava, se non per brevi istanti, giocava in solitudine con alcuni giocattoli e, pian piano, si avvicinava in silenzio a me, curioso, per poi ritornare velocemente alle sue attività. Forse sentendosi libero di poter sperimentare un gioco, un suono, in un ambiente accogliente, non giudicante e non invasivo, Francesco ha buttato lontano il flauto e le maracas, ma ha iniziato a suonare i tamburelli e lo xilofono. Suonava lentamente, guardandomi negli occhi ad ogni suono emesso dallo strumento e cercando un silenzioso aiuto nelle mie mani per riuscire a comporre semplici frasi musicali. Come una danza silenziosa, ma ricolma di sonorità condiv ise, abbiamo iniziato a muovere i primi passi di un dialogo sintonico. Il tempo dei suoni si è gradualmente armonizzato alla nostra relazione: più tempo trascorrevamo insieme nella vibrazione della musica, più ci sentivamo liberi di ascoltare, sperimentare nuove composizioni ed esprimere emozioni. Francesco ha iniziato a verbalizzare nuove parole, non più riferite a momenti passati, ma relative a istanti vissuti insieme in quella stanza: ʺmusica, suonoʺ o ʺprendi il tamburoʺ o ancora ʺadesso io e te, dopo faccio da soloʺ. Francesco ha deciso di poter dire che era felice di giocare con i suoni e di vedermi ogni settimana. Ed io con lui.
Forse le nuvole e la pioggia fanno ancora paura, ma ora hanno un suono conosciuto e di cui si può parlare attraverso la musica. Forse le parole non saranno mai come ci si aspetta che siano, ma il suono musicale può sostituire il verbo e aiutare pr ofondamente una relazione umana consapevole e curativa.